Archive for febbraio, 2014

-Gravity- Alfonso Cuaròn

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Gli astronauti Ryan Stone e Matt Kowalsky lavorano ad alcune riparazioni di una stazione orbitante nello spazio quando un’imprevedibile catena di eventi gli scaraventa contro una tempesta di detriti. L’impatto è devastante, distrugge la loro stazione e li lascia a vagare nello spazio nel disperato tentativo di sopravvivere e trovare una maniera per tornare sulla Terra.
Lo spazio non è più l’ultima frontiera, nel nuovo film di Cuaròn non c’è nulla da esplorare, si rimane a un passo dal nostro pianeta ma lo stesso la profondità spaziale continua a non essere troppo distante dalle lande desolate del cinema western, un luogo talmente straniante da confinare con il mistico, l’ultimo rimasto in cui esista ancora la concreta sensazione che tutto possa accadere, in cui si avverte la presenza dell’ignoto e quindi in grado di mettere alla prova l’essenza stessa dell’essere umani.
C’è tutto questo nel blockbuster con Sandra Bullock e George Clooney che Alfonso Cuaròn è riuscito a realizzare senza muovere un passo dalle convenzioni hollywoodiane, quelle che impongono l’inevitabile coincidenza dell’avventura personale con un mutamento interiore e il superamento del solito trauma radicato nel passato. Eppure dietro i dialoghi ruffiani e dietro una tensione obbligatoriamente costante (tenuta con una padronanza della messa in scena, tutta in computer grafica, che ha del magistrale ma non sorprende dall’autore di I figli degli uomini) non è nemmeno troppo nascosto uno dei film più umanisti di un’annata che ha visto il cinema statunitense proporre, a Cannes, anche la straordinaria storia di sopravvivenza individuale contro gli elementi (marittimi) di Robert Redford in All is lost.
La visione prettamente americana dello spazio, un luogo d’avventure in cui l’uomo deve combattere contro ogni avversità naturale, stavolta è fusa con quella promossa dallo storico rivale, il cinema sovietico degli anni ’70, in cui lo spazio è il posto più vicino possibile alla metafisica, terreno di visioni interiori che diventano realtà e di incontro con il sè più profondo, fino a toccare anche l’idea di origine (o ritorno) alla vita di 2001: Odissea nello spazio in un momento di struggente bellezza, in cui il corpo di Sandra Bullock pare danzare con meravigliosa lentezza.
Per Cuaròn lo spazio può essere tutto questo insieme, allo stesso modo in cui il suo film può essere sia un blockbuster sia un’opera che cerca di toccare la profondità dell’animo umano, realizzata con una sceneggiatura densa di dialoghi e molto fondata sulla recitazione (come un film a basso budget) animata da una messa in scena interamente in computer grafica (da grande film di fantasia), un lungometraggio che più che essere di fantascienza pare d’avventura (nel senso classico del termine), in cui l’essere umano lotta in scenari naturali mozzafiato, nel quale anche solo un raggio di sole che entra dall’oblò al momento giusto può far battere il cuore.

Gabriele Niola

febbraio 26, 2014 at 11:07 am Lascia un commento

Saving Mr Banks

SAVING

E’ un gioco sottile di rimandi, quello di “Saving Mr Banks”, che
intreccia realtà e finzione, la “Mary Poppins” letteraria a quella
ricreata per il cinema dallo staff Disney, mescolando sapientemente
passato, presente e immaginazione. Tom Hanks/Walt Disney all’apice del
successo si confronta con l’esasperante Emma Thompson/Pamela “L.”
Travers, autrice ormai allo stremo delle risorse finanziarie della
nota serie di libri per bambini incentrati su Mary Poppins, nell’ardua
missione di strapparle la concessione dei diritti del libro, e poter
così realizzare il film omonimo. La scrittrice è scorbutica ai limiti
dell’insopportabile, ma la sua insofferenza nei confronti del mondo
edulcorato e artificioso che dà fama e ricchezza a Disney è molto
moderna, divertente in particolare l’avversione per le canzoni
“marchio di fabbrica” dello stile disneyano. Colin Farrell è
l’adorabile padre imperfetto che rivive nei dolcissimi e drammatici
ricordi d’infanzia dell’autrice, ambientati in un’Australia selvaggia,
al confine tra la dura realtà e la trasfigurazione della fantasia. Va
dato merito al regista, John Lee Hancock, per avere diretto un piccolo
gioiello, montato con maestria, finemente intessuto di dialoghi
intelligenti e umani, di riflessioni sulle ossessioni dei narratori e
sull’immaginazione. Folgoranti l”inizio e la fine, in uno splendido
contrappunto di musica e di recitato, che racchiudono poeticamente ad
anello la storia.
Srefania De Zorzi

febbraio 24, 2014 at 8:15 PM 1 commento

12 ANNI SCHIAVO di Steve McQueen

12 ANNI
C’è una cosa che il film di Steve McQueen si tiene ben stretta, celata dietro gli occhi magnifici dell’attore Chiwetel Ejiofor. Noi la chiamiamo banalmente speranza. In “12 anni schiavo”, invece,  essa ristagna in un concetto (“non voglio sopravvivere,  voglio vivere”) quasi ellittico. Prigioniero nel corpo e nella mente che non calcola più il passare del tempo.
Dopo Hunger e Shame abbiamo imparato che non si guarda un film del regista inglese per la scomodità dei suoi lavori,  ma per le storie che racconta. Storie di cinema rese più imprevedibili dai suoi personaggi, dalla loro forza o dalle loro debolezze.
A toccare il capolavoro,  “12 anni schiavo” ci arriva attraverso il memoir di Solomon Northup ripescato in biblioteca dalla moglie di McQueen. La vicenda del violinista di colore,  nato libero e fatto schiavo nel 1841 per vivere o morire in una piantagione della Louisiana,  rispondeva esattamente ai desideri del regista. Raccontare la schiavitù come altri non hanno saputo o voluto fare. E nel farlo narrare l’odissea di un uomo che torna alla sua famiglia. La violenza fa parte dello schema. La gara di bravura Ejiofor, Michael Fassbender e Lupita Nyong’o, un dono gradito.
MARIO A. RUMOR  (MUCCHIO)
NEGRONI
PARERE CONTRARIO!

Dopo l’uscita americana a novembre arriva anche in Italia il 20 febbraio il nuovo film di Steve McQueen. Noto prima di tutto come artista video, si è affermato poi come regista con Hunger (2008) e Shame (2011), due film molto innovativi dal punto di vista formale.

Era grande allora l’attesa per il nuovo film 12 Years a Slave, che si presentava come più tradizionale dal punto di vista narrativo. Il film racconta la storia di Solomon Northup, nero di Saratoga che viene rapito e deportato nel Sud, dove per 12 anni vivrà da schiavo sottoposto a terribili condizioni di lavoro e di vita.

Personalmente sono entrato al cinema con tante aspettative, e ne sono uscito pensando che il film, per quanto intenso, non sia molto diverso dai recenti film biografici The Butler e Mandela. E’ vero come dice McQueen, che pochi film hanno affrontato il tema dello schiavismo,  e solo negli ultimi anni qualcosa si è mosso.

Ma cosa distigue questo film da un medio biopic hollywoodiano? Ho cercato risposte (anche rivedendolo una seconda volta) ma non ne ho trovate molte. In primis, una camera che indugia sulle violenze. Con inquadrature lunghissime che puntano a infastidire e mettere a disagio lo spettatore. Questo no, non è hollywodiano. Ma nemmeno è qualcosa di particolarmente riuscito, sembra un modo piuttosto volgare di compiacersi della violenza.

La fotografia è curatissima, come anche i movimenti di macchina piuttosto elaborati che sono un punto di forza del regista. La colonna sonora è double-face con momenti di forza stridente ma con momenti di pura retorica da mediocre film hollywoodiano. I dialoghi sono piuttosto tronfi, i tanti grandi attori interpretano personaggi in gran parte dei casi tagliati con l’accetta.

Francamente non capisco che cosa abbia consentito un tale trionfo critico. Sono quasi il solo a cui questo film non sia piaciuto (almeno in buona compagnia : Les cahiers du cinéma), per cui vi consiglio comunque di non perderlo e di farvi una vostra opinione.

ALESSANDRO ZUCCONI

 

12 Years A Slave

febbraio 19, 2014 at 2:07 PM 1 commento

Dallas Buyer Club

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Rigidamente omofobo, dedito a cocaina, alcool e sesso occasionale,
zotico e sgradevole: così si presenta nei primi minuti di “Dallas
Buyers Club” uno scheletrito Matthew McConaughey, interprete di Ron
Woodroof, elettricista texano, malato terminale di AIDS, cui vengono
diagnosticati 30 giorni di vita nella Dallas degli anni ’80. Jean-Marc
Vallée dirige un film aspro nel linguaggio e nelle situazioni: la
pietà per il malconcio e disperato protagonista non è mai disgiunta
dall’evidenza dei suoi macroscopici difetti, che sembrano permanere
quasi senza speranza per buona parte del film. Tuttavia il senso di
prossimità alla morte lo obbliga ad un viaggio fisico e spirituale per
trovare salvezza, o almeno per provare a prolungare l’esistenza
propria e di altri sfortunati malati. Attraverso la storia di
Woodroof, La Vallée esplora con intelligenza temi delicati quali il
pregiudizio nei confronti degli omosessuali e dei malati di AIDS in
generale, così come la discutibile politica sulla sperimentazione e
l’approvazione dei farmaci da parte della FDA nell’America di quegli
anni. I volti scavati e i corpi emaciati dei protagonisti (oltre a
McConaughey, anche Jared Leto nelle vesti del transessuale Rayon è
strepitoso) rimangono con lo spettatore per tutta la durata del film,
e non è cosa facile: ma ci sono inaspettati momenti poetici e talvolta
divertenti, e la riflessione su legalità e giustizia dà una misura più
ampia all’emozione.

Da vedere.

Stefania De Zorzi.

febbraio 18, 2014 at 11:50 am Lascia un commento

I NOSTRI CD PIU’ VENDUTI NEL 2013

Sabato abbiamo pubblicato la classifica dei 20 dvd più venduti ad Alphaville nel 2013.

Oggi tocca ai cd.

Possiamo cogliere l’occasione per ringraziare tutti coloro che , con i loro acquisti, ci hanno permesso di poter sfoggiare una doppia classifica di incredibile qualità?

GRAZIE A TUTTI!

1 Nick Cave   -Push the sky away-

NICK CAVE   Push-The-Sky-Away-

2 Pearl Jam    -Lightning bolt-

PEARL JAM  LIGHTNING BOLT

3 Agnes Obel   -Aventine-

AGNES OBEL

4 Olafur Arnalds   -For now i am winter-

OLAFUR

5 Jonathan Wilson   -Fanfare-

J.W FANFA

6 Antony/Battiato   -Del suo veloce volo-

antony battiato del suo veloce volo

7 The National    -Trouble-

Print

8 Arcade Fire    -Reflektor-

ARCADE FIRE

9 Nick Cave     -Live from KCRW-

NIC CAVE LIVE

10 Queens of the stone age   -Like Clockwork-

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11 Atoms for Peace     -Amok-

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12 Mogwai    Les Revenants

MOGWAI LES

13 David Bowie   -The next day-

DAVID B

14 Ketil Bjornstad    -La notte-

BJORSTAD

15 Sigur Ros    -Kveikur-

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16 Arctic monkeys    -AM-

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17 Boards of Canada   -Tomorrow’s harvest-

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18 Steven Wilson    -Raven-

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19 Baustelle    -Fantasma-

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20 Daft Punk     -Random Access Memories-

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febbraio 17, 2014 at 11:34 am Lascia un commento

I DVD PIU’ VENDUTI DEL 2013

1  Detachment    Tony Kaye

Detachment

2  Quasi Amici    Olivier Nakache, Eric Toledano

quasi amici

3  Django Unchained   Quentin Tarantino

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4  La miglior offerta   Giuseppe Tornatore

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5  La grande bellezza   Paolo Sorrentino

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6  Transsiberian   Brad Anderson

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7  Argo   i Ben Affleck

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8  Un sapore di ruggine e ossa   Jaques Audiard

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9  Viva la libertà   Roberto Andò

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10 Tirannosauro    Paddy Considine

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11  Amour   Michael Haneke

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12  Holy Motor   Leos Carax

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13  Blue Valentine    Derek Cianfrance

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14  Promethus    Ridley Scott

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15  Nella casa   Francois Ozon

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16  007 Skyfall    Sam Mendes

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17  Noi siamo infinito   Stephen Chbosky

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18  Killer Joe    William Friedkin

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19  Zero dark thirty   Kathryn Bigelow

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20  Il sospetto   Thomas Vinterberg

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febbraio 15, 2014 at 5:35 PM Lascia un commento

Nymphomaniac, Part 2 – di Lars Von Trier

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Se non hai letto la prima parte leggila subito in data 8 GENNAIO qui sul nostro blog.

L’impavido distributore danese ha portato nelle sale il giorno di Natale le quattro ore di questo distributor’s cut di Nymphomaniac, mentre in Francia e Svizzera è stato distribuito in due parti: la prima è arrivata ancora in clima natalizio a inizio gennaio,  la seconda a fine mese,  mentre pochi giorni dopo al festival di Berlino veniva presentato il director’s cut della prima parte.

Il tono si è fatto più cupo, mentre avanziamo nel percorso di autodistruzione della protagonista. Il racconto prosegue come nella prima parte, con Joe che confessa a Segliman e a noi spettatori le proprie avventure, che vengono mostrate in flashback.

Le situazioni si fanno via via più hard e lo spettatore si trova sempre più a  disagio rispetto a quello che vede, in un clima tetro che ci mostra il sesso non come impulso vitale ma come tensione verso la morte.

Non mancano,  come già nella prima parte, brevi istantanee di assoluta perfezione estetica. Ma l’impressione è di un oggetto fisso e glaciale che non riesce a prendere vita. Il racconto della protagonista Joe, che in questa seconda parte vediamo interpretata da Charlotte Gainsbourg anche nei flashback, è meno didascalico rispetto alla prima parte, ma è comunque notevolmente appesantito dalle citazioni. Dal paradosso di Zenone a Thomas Mann, da Bach a Beethoven, da Freud al nodo di Prusik… a tante altre che non sono riuscito ad appuntarmi nel buio della sala. Non si capisce il senso di un tale profluvio di richiami a sproposito, se non un anelito a parlare dell’universo intero: proposito che toglie intensità e concentrazione sul racconto stesso.

C’è persino un’autocitazione dei primi minuti di Antichrist, con gli stessi elementi e Lascia ch’io pianga di Händel in sottofondo, con cui il regista gioca a far immaginare agli spettatori più vontrieriani (o vontrieristi?) una terribile conclusione della scena.

La buona notizia è che in un paio di brevi momenti il pubblico in sala ride (una vulva che scarica cucchiai, due peni in erezione che “discutono”). Due brevi momenti di ironia, ma per il resto tutta questa seconda parte è di una cupezza cosmica, non sostenuta però da un’intensità della storia che permetta al pubblico di avvicinarsi ai protagonisti e di farsi coinvolgere nelle loro vicende.

Nymphomaniac è comunque un film da vedere, Von Trier è un regista che evita i sentieri battuti per avventurarsi sempre in nuovi mondi. Chiusa la trilogia della depressione, chissà che non decida di riprendere quella comicità dell’assurdo del geniale Il grande capo?

                                                                                                                                                                                                                                  Alessandro Zucconi

febbraio 11, 2014 at 8:32 PM Lascia un commento

-ROBOCOP- recensione di Stefania De Zorzi

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“OGGI AVEVO BISOGNO DI UN BEL FUMETTONE”

Remake più che dignitoso dell’omonimo film degli anni ’80, il
“RoboCop” diretto da José Padilha inserisce da subito il personaggio
in un contesto contemporaneo: il dibattito sul diritto /dovere
americano di “portare la pace” nel mondo tramite le azioni di
guerriglia intelligente dei droni apre e chiude la storia con una
certa dose di ironia, visto che l’uso degli stessi viene invece
bocciato dai cittadini in patria. Il film vanta alcuni bei momenti
rispetto all’originale: il risveglio lucido e disperato di Alex Murphy
/ RoboCop nell’armatura iper-tecnologica che riveste quel poco che
rimane del suo corpo orribilmente mutilato, la corsa attraverso il
capannone affollato da una moltitudine anonima di operai cinesi, o
anche l’ambiguo medico, interpretato da Gary Oldman, che cerca di
conciliare il senso di estraneità rispetto al proprio corpo delle
protesi con le emozioni di un paziente musicista. Purtroppo la trama
non brilla per originalità, e per buona parte del film si soffre di
una certa scontatezza di dialoghi e situazioni, soprattutto nelle
sequenze videogioco di sparatorie e inseguimenti. Malgrado ciò il
giocattolo ha un’anima, ed ispira simpatia anche l’inserimento cameo
in alcuni momenti chiave della sigla del RoboCop originale.

febbraio 10, 2014 at 4:58 PM 1 commento

I segreti di Osage County di John Wells

Meryl Streep, col volto devastato dalla vecchiaia e dalla malattia, la
mente obnubilata dall’abuso di farmaci e da un principio di demenza,
irrompe violentemente sulla prima scena del film “I Segreti di Osage
County”, ritratto impietoso di una famiglia disgregata tutta al
femminile. Le tre figlie di Violet / Streep, obbligate a riunirsi alla
madre in occasione del funerale del padre, si troveranno coinvolte in
un gioco al massacro da cui nessuno esce illeso. La furia distruttrice
priva di freni inibitori di Violet si abbatte su ogni membro della
famiglia, e solo la figlia Barbara / Julia Roberts è in grado di
contrastarla, con un misto di rabbia e tenerezza. Rughe e volti troppo
truccati e inflacciditi vengono mostrati con un realismo anomalo per i
canoni hollywoodiani: la vecchiaia, esente da ogni saggezza o
simpatia, è sgradevole nel corpo e nello spirito, la mezza età che la
precede non è meno angosciosa e meschina. Recitato splendidamente da
un cast di grandi attori, con Roberts e Streep che danno il meglio di
sé, il film diretto da John Wells, tratto da una pièce di Tracy Letts,
risente tuttavia in molti dialoghi e situazioni di una certa
teatralità. La “sorpresa” finale risulta vagamente incongruente con il
resto della storia e accentua i toni già esasperati del dramma a
fosche tinte: si esce con la sensazione di un polpettone d’autore,
seppure interpretato magistralmente e assai ben confezionato.

Stefania De Zorzi

febbraio 3, 2014 at 11:03 am Lascia un commento


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