Archive for dicembre, 2008

Genesis 1970-1975 ( 7 sacd + 6 dvd – 6 lp )

Diciamolo subito: le rimasterizzazioni sono meravigliose. Album come Trespass, Nursery Cryme, Foxtrot, Selling England By The Pound e il doppio capolavoro The Lamb Lies Down On Broadway non hanno mai suonato bene come nelle incisioni di questo cofanetto dei Genesis dell’era di Peter Gabriel. Quella chitarra di Steve Hackett in Carpet Crawlers non c’era prima, lo posso giurare, invece eccola lì, chiara e nitida che esce dal diffusore posteriore destro. Questi remaster sono in diversi formati, tutti multicanale: SACD (il migliore), Dolby Digital e DTS (per chi non avesse un lettore SACD), ma sono ascoltabili anche da un semplice lettore CD in stereofonia. Ciò che maggiormente impressiona è la dinamicità e chiarezza del suono originariamente uscito su vinile quasi 40 anni fa. La voce e il flauto di Gabriel, la batteria di Collins, ma anche le tastiere di Banks, le chitarre di Hackett e Rutherford… mai così chiare e presenti in un palco multicanale davvero ampio e coinvolgente. I puristi si mettano il cuore in pace: non c’è vinile che possa rivaleggiare con questi remaster digitali. Nel cofanetto, c’è anche un CD di inediti e demo dedicati ai completisti, mentre ogni album offre anche delle interviste recenti a tutti i membri del gruppo, affiancandole ad eventuali testimonianze video dell’epoca. All’appello manca, fortunatamente, From Genesis To Revelation (il primo album di un gruppo che si faceva chiamare Genesis ma che ancora non lo era) e Genesis Live, ma è una mancanza accettabile. Inutile parlare degli album qua contenuti. Chi comprerà questo cofanetto li conoscerà a memoria. Chi invece non li conosce sappia che parliamo di due capolavori e di altri 3 album che – chi più chi meno – sfiorano la vetta. Nell’era dello scaricamento selvaggio di MP3 di qualità infima, questa gioia per le orecchie ci rinfranca col mondo della vera musica.

 

Canzoni consigliate: tutte.

 

Voto: sarebbe 9/10 ma il Natale e la nostalgia mi fanno scrivere 10/10

 

crisgras

dicembre 21, 2008 at 1:05 PM 1 commento

David Byrne & Brian Eno – Everything that happen today ( cd )

Chi ci salverà dai classici? Chi ci salverà dall’infinito ricapitolare del folk, del blues, della musica delle radici?  Che fine ha fatto la musica inglese? Che fine ha fatto la new wave? Questo disco potrebbe se non altro darci una mano ad evocare quella musica diversa. Autori Brian Eno e David Byrne: Eno musicista eclettico ed elegante, padrino e mentore dell’ Art Rock, del rock minimalista, della musica per ambienti, dei paesaggi sonori, della generative music; produttore di prezioso pop di successo, fra cui proprio quelli dei Talking Heads, la leggendaria band di David Byrne, campione della new wave del CBGB’s a NYC alla fine degli anni settanta. Autori in società di quel My Life In The Bush Of Ghost del 1981, seminale per una certa musica d’ambiente elettronica dance che ci ha perseguitati a lungo nelle sue declinazioni più banali. Nel 2006 i due si incontrano nuovamente proprio in occasione della messa a punto del remaster di quell’album, ed in quella occasione Eno passa a Byrne un CD di musiche strumentali da cui ritiene possano ricavarsi delle canzoni.  Avete indovinato: Byrne va a casa, ascolta il disco e comincia a ricamare l’uno dopo l’altro i brani di questo Everything That Happens… Un disco tanto bello quanto diverso dalla precedente collaborazione. Everything è fondamentalmente un disco di canzoni; canzoni oblique, se volete, nella migliore tradizione di Brian Eno, quella inaugurata dal capolavoro del 1974 Taking Tiger Mountain (By Strategy). Canzoni diverse, strane, eppure evocative di melodie e cori già ascoltati nel passato e stratificati nella memoria. Un disco pastorale persino, in conseguenza della lentezza dei suoi tempi e della larghezza del suo orizzonte; basato apparentemente su cori che si ripetono in loop, fino a che realizzi che cori non ce ne sono ma si tratta solo della profonda voce di Byrne, mai così in forma dai tempi dei Talking Heads.  Musica soul arriva a definirla Eno: canzoni costruite su uno schema caro al musicista (o al non-musicista, come ha il vezzo di auto-definirsi), cioè un sovrapporsi di strati, di loop sonori reiterati all’infinito che fanno da base agli emozionanti strati vocali di Byrne.  Il disco tiene volutamente un basso profilo, evitando di strizzare l’occhio all’ascoltatore casuale. E quasi quasi dispiace, specie nei momento in cui l’evocazione dei capolavori dei Talking Heads è forte, e sarebbe bastata una chitarra ritmica in più, o percussioni più serrate per generare il degno successore di More Songs About Buildings and Food o Remain In Light. Ma Everything That Happens è questo e di più; è il riassunto della lirica dei due, e più che un disco dance è un Simon & Garfunkel della civiltà degli anni zero. È anche un disco dalle forti suggestioni visive, quasi un quadro che canta, come quella casa (quasi) di Lego della copertina che in qualche modo equivale in termini contemporanei al famoso American Gothic  di Grant Wood del secolo passato. Alcune canzoni sono bellissime (Home, Strage Overtones, Poor Boy), altre sono capolavori (One Fine Day, The River, Wanted For Life), ognuno troverà le sue perché tutto il disco è estremamente omogeneo e denso: non ve ne stancherete presto. Arte nel Rock. Questo è Everything That Happens… Lasciatelo suonare senza interruzione sulle pareti di casa vostra.

Blue Bottazzi

dicembre 15, 2008 at 5:53 PM Lascia un commento

JJ Grey & Mofro – Orange Blossoms ( cd )

Dio sia lodato: non siamo rimasti soli nell’universo. C’è ancora vita. 
C’è ancora musica rock. Questi JJ Grey & MOFRO (rispettivamente il  chitarrista cantante leader e la band) sono di Jacksonville, Florida,  e questo è già un programma. Come non pensare al rock del sud dei  fratelli Allman? Un rock intenso, essenziale, che si ispira  volutamente ad una mitica band dei primi settanta che a sua volta si  ispirava ai primi sessanta: i Creedence Clearwater Revival, la  mitologia della Louisiana, il suono della bajou country, il fascino  appiccicoso della swamp e della cotton belt. Chitarra affilata, basso 
e batteria, voce roca, canzoni delle radici ed una contagiosa voglia 
di ballare. Ma la band non è una ganga di c’era-una-volta: al 
contrario l’intensità funky del ritmo mi riporta inconfondibilmente 
alla potenza del Groove degli anni novanta di Blues Travelers
Spinning Doctors o Popa Chubby. Se ci mettiamo il soul di Memphis, il   blues di Chicago e l’orizzonte psichedelico di San Francisco abbiamo  coperto tutti gli States. Orange Blossoms, “Fiori d’Arancio”, è il disco di quest’anno della  band e più che in precedenza gioca con il soul ed il funky dei ’60 e 
dei ’70, Stax e Motown, come Quentin Tarantino gioca con i B-movie dei  primi anni settanta. Il risultato è godibile e persino ballabile, come  ai bei tempi della new wave. Insomma, se ancora siete capaci di  divertirvi JJ Grey & Mofro sono qui per questo.

Blue Bottazzi

dicembre 15, 2008 at 5:46 PM Lascia un commento

Ryan Adams & The Cardinals – Cardinology ( cd – 2 lp )

Ho resistito a lungo al fascino discreto di Ryan Adams, nonostante avessi già molto apprezzato nel 1997 Stranger’s Almanac dei Whiskeytown (la banda in cui Ryan militava).

Ho ignorato per anni la sua copiosa produzione che ne ha fatto un artista di culto fra i fan del rock born in the USA, fino a che Mauro Zambellini mi ha consigliato il suo Gold del 2001 (ed altri amici diverse altre canzoni sparse che ho provveduto a scaricare da iTunes).
Ryan Adams è un rocker di quarta generazione, un “arrivato dopo” ma non “too late”. Un cantante e cantautore che si ispira al medesimo rock classico che amiamo noi. 
Ryan Adams è un juke-box che mischia sapientemente nei suoi dischi canzoni di Neil Young, di CS&N, di Van Morrison, degli Stones, persino di Prince, come su una di quella cassette che una volta ci registravamo da ascoltare in auto. Solo che le canzoni in questione le ha scritte tutte lui di suo pugno.
Non a caso l’abile piccolo disc jokey che vive nel mio iPod mi restituisce con regolarità e senza preavviso bellissime canzoni americane, e mi è capitato dozzine di volte di doverne leggere il titolo sul display perché proprio non me lo ricordavo. E tutte le volte mi è capitato di stupirmi perché le canzoni non erano di Neil Young, di Steven Stills o di Jagger / Richards come avevo creduto di capire, ma invece del piccolo grande Ryan Adams.
È in questo modo che ho imparato ad amare lui, la sua voce delicata e rassegnata, e le sue bellissime ballate. 
Così quando oggi mi sono trovato davanti la copertina di Cardinology di Ryan Adams & The Cardinals, ho provato un’emozione come se invece del suo nome avessi letto Roger McGuinn & The Byrds (complice forse un logo di copertina che in qualche modo mi ha evocato di McGuinn tanto Thunderbyrd quanto quello con la rosa – non c’era un disco con l’immagine di una rosa? Forse mi confondo con il Macca…)
Anche l’ascolto è ricco di soddisfazioni: ballate evocative e caldi rock & roll, un suono elettroacustico figlio dei primi anni settanta, una sezione ritmica sempre vivace, una tensione che sviluppa un groove nelle esecuzioni che crescono come in un live show… mentre si evocano lontani echi di Byrds, Stills, Crosby, Young, Clark ma anche New York Dolls (gli Stones born in USA) o Green On Red, il timone resta ben saldo nelle mani e nella personalità del rocker di Jacksonville.
Che sia proprio Adams il rocker definitivo degli anni zero? Di sicuro Cardinology è il suo disco che preferisco…
Blue Bottazzi

dicembre 9, 2008 at 10:51 am Lascia un commento

Redacted di Brian De Palma ( dvd )

E’ stato giustamente scritto:
“E’ uno dei dieci o venti film più importanti mai fatti! impossibile d’ora in poi non citarlo in qualsiasi manuale di cinema, non solo di genere” (Macs). Come è possibile che un’opera del genere non sia stata distribuita nelle sale e che si possa vedere solo in dvd o sulle tv a pagamento?
Brian De Palma, ormai settantenne, invece di riposare sugli allori abbraccia la più moderna tecnologia e ricorrendo al digitale realizza un lavoro originale e innovativo, perfetta miscellanea di immagini vere e immagini ricostruite.
Un film emozionante come pochi, spesso agghiacciante. Un vero shock per lo spettatore, partecipe e coinvolto come sempre più raramente accade.
Redacted (“pronto per la pubblicazione”) è, contemporaneamente, un atto d’accusa contro l’attuale politica estera americana, una spietata analisi dei media, uno sconvolgente quadro di come spesso l’ignoranza e l’ingenuità si tramutino in violenza e bestialità, un affresco -freddo e lucido- di come la verità sia la prima vittima della guerra.
Il ritmo è serrato, la colonna sonora funzionale e appropriata, la recitazione ottima…
Un film profondo, premiato a Venezia, che è un dovere vedere.

dicembre 5, 2008 at 7:27 PM Lascia un commento

Gomorra di Matteo Garrone ( dvd )

L’assonanza tra la camorra e la biblica, corrotta città del titolo indica pure una vicinanza materiale al “Sistema”, ovvero il crimine organizzato tra le province di Napoli e Caserta che ha ucciso 4 mila persone in 30 anni, vive (ma il film mostra solo una parte dei vari campi d’interesse) di capi d’alta moda contraffatti, di smaltimento illegale di rifiuti tossici e soprattutto di spaccio di droga, garantisce un reddito alle famiglie degli affiliati detenuti, è protetto dall’obbedienza ai capi.

Dal miscuglio di generi letterari che è l’omonimo libro di Roberto Saviano (ben oltre 1 milione di copie vendute in Italia, tradotto in 33 paesi), 5 sceneggiatori – tra cui lo scrittore e il regista – hanno tratto materiale per 5 vicende. Matteo Garrone ne ambienta un paio dentro le Vele di Secondigliano, scempio urbanistico fatiscente che rispecchia il degrado morale di abitanti interpreti di sè stessi (insieme ad attori teatrali ed ex-carcerati). Se infatti “i soldi sono la prima cosa”, gli equilibri saltano a causa dell’invasione della cocaina, portatrice di grossi guadagni e corresponsabile di una violenza cieca e furibonda. La quale è accompagnata, per contrasto, dalle canzoni dei neomelodici napoletani, irrompe fulminea come le pallottole, e porta alla guerra tra due clan in un fortino in cui – venuti meno i codici che un tempo impedivano di toccare donne e bambini – si è messi di fronte a scelte di campo senza ritorno. Un microcosmo dove troviamo concentrati anche i mali del lavoro dell’Italia intera: sfruttamento della manodopera, incidenti, impiego di minori. Senza “conoscenze”, un’attività onesta resta un’illusione, al pari della volontà di mettersi in proprio nel bene o nel male. I giovani sono “carne da macello”, e la speranza sta in chi ha coscienza e coraggio di sottrarsi al meccanismo. Cronachistico e funereo, “Gomorra” – tra evocazioni simboliche e grottesco – è privo di enfasi ed emotività, testimone etico di una tragica assuefazione. Per Garrone – dai tempi de “l’Imbalsamatore” – un ulteriore, potente salto di qualità e, a memoria, una delle migliori pellicole sulla nostra malavita.

La frase: “Noi risolviamo problemi creati da altri”.

Federico Raponi

dicembre 5, 2008 at 7:22 PM Lascia un commento

Grateful Dead – Rocking the cradle Egypt 1978 ( 2cd+dvd )

  

Devo confessarlo: molto a lungo ho pensato ai Grateful Dead come alla band di Live Dead, doppio dal vivo che fotografa gli alfieri della psichedelia del movimento Hippie di San Francisco in concerto nel 1969. A Los Angeles all’inizio degli anni novanta mi sorprese trovare uno show della band, che, nella mia ignoranza, non sapevo nemmeno essere ancora assieme. E così da quel giorno dovevo scoprire i Dead come la definitiva Rock Band Americana, che aveva inciso non più di un pugno di dischi ma aveva girato il mondo in tourneé in lungo ed in largo senza (quasi) mai doversi fermare.  A mia discolpa devo dire che nel nostro paese la stampa specializzata ha sempre parlato poco o niente dei Grateful Dead e che le recensioni che ho letto, sui dischi degli anni settanta, sono sempre state tiepide e molto lontane dal comprendere le dimensioni del fenomeno della band. Fortunatamente Jerry Garcia aveva l’abitudine di registrare ogni show del gruppo, e così anch’io, in colpevole ritardo e dalla periferia dell’Impero, ho potuto testimoniare di dozzine di show, più o meno incredibili, del gruppo.  Tanto che a furia di ascoltare dischi live, la voglia di aggiungere show nuovi a quelli che già conosco si è affievolita, perché ovviamente molto spesso si tratta di concerti di elevato livello ma anche non troppo diversi gli uni dagli altri. È difficile dire quale show valga ancora la pena di ascoltare. Così quando mi si è parato davanti, inaspettato, il doppio CD con la registrazione dei concerti egiziani del 1978, i sentimenti sono stati diversi. Il racconto dei concerti egiziani sotto la grande piramide e la sfinge fa parte dalla leggenda della band, ed anche la copertina è piuttosto accattivante (ancora di più una volta aperta, con la piramide e la sfinge che si alzano in tre dimensioni).  Ma la scaletta riportata sul retro della confezione non sembrava celare sorprese di sorta; più o meno lo stesso repertorio già ripetuto su tanti dischi. Quello che mi ha convinto all’acquisto sono stati il prezzo decisamente abbordabile e la presenza di un DVD dell’evento. Chissà, forse mi figuravo di trovare Jerry Garcia e amici in versione Predatori dell’Arca Perduta. Invece, com’è naturale che sia, il film è tipicamente una ripresa come si faceva negli anni settanta, e per la maggior parte del tempo la band potrebbe tranquillamente trovarsi in un teatro di New York come di Los Angeles; solo di rado qualche inquadratura della sfinge e della piramide sfugge agli operatori… Ma quello che da subito mi ha colpito del film è stata l’enorme bellezza delle esecuzioni; che mi ha colpito doppiamente perché si era sempre sentito dire che dagli show non era stato a suo tempo ricavato un disco per la scarsa qualità delle esecuzioni o delle registrazioni, non so. E poi l’album immediatamente successivo nel tempo era stato Shakedown Street, forse il peggior momento della band. Invece le canzoni di Rockin’ The Cradle sono bellissime. Non solo bellissime come già le conosciamo (perché bene o male sono tutti standard della band) ma perché eseguite con una rilassatezza ed una poesia rare persino in tanto gruppo. I Grateful Dead realizzano un’architettura soffice, lieve, che mi suggerisce la leggerezza di un aliante; con una rilassatezza che fa in modo che i brani si allunghino a dismisura e si compenetrino l’uno nell’altro senza mai una traccia di noia. Canto, assoli, chitarre sono da brivido. Deal, Fire On The Mountain, Shakedown Street, Truckin’, Stella Blue vorresti che non finissero mai ed in effetti sembrano non finire mai, canzoni di una bellezza ipnotica sospesi nella magica bellezza di una notte senza luna fuori dal tempo. E quando si arriva al bis di Around And Around del grand Chuck Berry non puoi fare a meno di ripartire dall’inizio. Le canzoni del DVD e quelle del CD purtroppo non corrispondono in pieno: per esempio Bertha e Good Lovin sui Cd non ci sono. Ho sentito parlare di un CD extra ma nella mia confezione non ce n’è traccia.
Non ho l’autorità in materia per decretare quali siano i più bei dischi dal vivo dei Grateful Dead ma di certo Rockin’ The Cradle è fra quelli. Anzi, questa sera è il mio disco preferito in assoluto della band.

Blue Bottazzi

dicembre 3, 2008 at 10:42 am 2 commenti


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