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ILLUSIONI PERDUTE – regia di Xavier Giannoli – recensione di Stefania De Zorzi

llusioni perdute” narra due storie: da un lato le peripezie del giovane Lucien de Rubempré/Benjamin Voisin, poeta squattrinato di indole romantica, che dalla provincia campagnola si trasferisce a Parigi per amore della bella aristocratica Louise de Bargeton/Cécile de France, diventa giornalista e si innamora ricambiato di una giovane attrice, Coralie/Salomé Dewaels. Contemporaneamente è il racconto delle origini di un giornalismo commerciale votato a “rastrellare” denaro anziché a servire ideali di verità e giustizia, di un’editoria ad esso collegato, fortemente condizionata dalle leggi del mercato, e di un teatro popolare dove imperversano claque che promuovono o stroncano carriere e spettacoli a pagamento.

Xavier Giannoli adatta e mette in scena il romanzo omonimo di Honoré de Balzac, una sorta di “Fiera delle Vanità” sul modello inglese, dove il protagonista è sia vittima che fautore della propria fulminea ascesa e caduta: l’ambientazione è la Francia della Restaurazione, che ha conosciuto i fermenti libertari della Rivoluzione e le guerre napoleoniche, e dove nobiltà e monarchia cercano di riconsolidare vecchie posizioni di forza con l’uso della violenza, oltre che attraverso rigide convenzioni sociali.

La rievocazione storica è accurata, sia grazie alle scenografie che rievocano lo sfarzo delle dimore aristocratiche, l’atmosfera confusa e operosa dei giornali, lo scintillio un po’ fasullo dei teatri, i passaggi su assi traballanti per evitare le strade fangose, sia grazie  ad una fotografia che alterna con talento pittorico luci calde e fredde, l’ebbrezza delle feste e la miseria della caduta. Notevole anche la mimesi di costumi e acconciature rispetto ai ritratti del primo Ottocento.

In sovrapposizione alla ricostruzione puntuale di un preciso periodo storico, Giannoli mescola elementi di epoche successive (la celebrazione del successo di Lucien e la sua ricercatezza modaiola sfumano nel Decadentismo di Oscar Wilde), e racconta attraverso una voce narrante a tratti ironica, a tratti rassegnata, un mondo moderno dove lo spettatore riconosce senza fatica gli antesignani di influencer e troll.

Nell’adattamento dal romanzo scritto da Giannoli e da Jacques Fieschi spiccano dialoghi indimenticabili per la loro arguzia: fra questi l’iniziazione alla stroncatura feroce e sistematica di Etienne Lousteau/Vincent Lacoste, o ancora le scene con un imponente Gérard Dépardieu, nei panni di Dauriat, ex fruttivendolo ed editore di successo.

Giannoli evita il tranello della presa di posizione politica, e del manicheismo poveri/ricchi: colpisce la facilità con cui Lucien abbandona l’arte e tradisce la propria onestà intellettuale, pur di poter partecipare agli agi e alle celebrazioni di un mondo elitario da cui sarebbe altrimenti escluso, mentre d’altra parte i giornali che si vantano di essere liberisti sono i primi a (s)vendere la propria penna con intenti puramente economici.

Il cast ha un livello eccellente anche nei comprimari: Xavier Dolan è l’affascinante scrittore Raoul Nathan, Jeanne Balibar sprizza perfidia da tutti i pori nel ruolo della potente Marchesa d’Espard, e Vincent Lacoste è un novello Mefistofele.

Film assolutamente da vedere, giustamente premiato in Francia con abbondanza di César: non da ultimo anche per lo sguardo commosso del regista sulla perdita dell’innocenza del suo giovane protagonista, a dispetto di debolezze ed errori.

luglio 4, 2022 at 11:55 am 1 commento


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