Archive for aprile, 2014
THE AMAZING SPIDER MAN 2: Il Potere di Electro -Marc Webb-
Eguagliare il romantico, vulnerabile, eroico Uomo Ragno protagonista
della bella trilogia di Sam Raimi era un’impresa tutt’altro che
facile: tuttavia il reboot di Marc Webb “The Amazing Spider-Man” non
aveva sfigurato, Andrew Garfield si era dimostrato un valido sostituto
di Tobey Maguire e Lizard/Rhys Ifans un degno avversario. “The Amazing
Spider-Man 2 – Il potere di Electro” invece in parte delude, per
l’incertezza del registro, sospeso tra infantilismi e accenti
drammatici, il ritmo a tratti sonnecchiante, il cattivo di scarso
spessore. L’inizio è quasi un cartone animato (forse anche il
risultato di un eccesso di digitalizzazione), poi il film vira verso
la commedia rosa con il tira e molla sentimentale di Gwen Stacy/Emma
Stone, finché un caricaturale Electro/Jamie Foxx fa la sua comparsa.
Il bravo Dane DeHaan/Harry Osborne è forse l’unico che riesce a
nobilitare la storia, introducendo un elemento di ambiguità morale e
di sofferta umanità nella trama. L’ultima parte, in cui il film prende
finalmente un buon ritmo, lo stralunato Garfield si riscuote, e gli
eventi precipitano verso la loro drammatica conclusione, è la
migliore. Se ci sarà un seguito, si può sperare che gli sceneggiatori
prendano in considerazione la tormentata storia di Kraven il
Cacciatore, adulta, articolata, avvincente, insomma una delle migliori
del Tessiragnatele.
Stefania De Zorzi
THE GRAND BUDAPEST HOTEL -Wes Anderson-
In un giardino invernale ai piedi di un monumento, una ragazza legge
il libro dell’autore celebrato dal monumento stesso; nel romanzo
l’autore narra di come, da giovane, abbia frequentato il decadente
“Grand Budapest Hotel”, conoscendone il proprietario; questi racconta
in prima persona allo scrittore le vicende avventurose che lo hanno
portato in gioventù a possedere l’Hotel. Il gioco di scatole cinesi
messo in scena da Wes Anderson nel film omonimo è estremamente
raffinato, con l’immagine che si restringe quasi subito in formato
4:3, sottolineando la dimensione fiabesca della storia. Una fiaba per
adulti, naturalmente, in cui non mancano eroismo, malvagità, ardenti
passioni giovanili e altre molto più mature e disincantate, mentre il
tocco inquietante della storia decreta la fine inesorabile di una
Belle Epoque aristocratica e decadente. L’estetica di Anderson è ben
visibile in sequenze dalle forti valenze pittoriche: un rosso
fiammingo domina nell’ascensore, l’Hotel nel suo fulgore è di un
delicato rosa pastello, mentre figure e scritte spiccano in nero sul
bianco abbagliante della neve.
Le insegne sono “divertissements” (il distributore di benzina è il
“Fuelitz”), le immagini talvolta si oscurano ai bordi, come nei film
muti degli anni Venti, oppure accelerano simulando le comiche del
passato. Grandioso il cast, con un impareggiabile Ralph
Fiennes/Gustave, concierge amante di anziane e aristocratiche signore,
ma anche eroico difensore del suo giovane amico Tony Revolori/Zero
Moustafa, impersonato in età adulta da un carismatico Murray Abraham.
E ancora altri attori feticcio di Anderson, fra cui Bill Murray, Owen
Wilson, Jason Schwartzman, Adrien Brody, che il regista rimescola e
dispone in scena attraverso i suoi film con gioiosa leggerezza. Alla
fine il risultato entusiasma, anche se a tratti si ha l’impressione
che Anderson sia arrivato al limite del suo gioco stilistico, e che
calcando appena un po’ di più la mano il genio possa strafare.
Stefania De Zorzi
DIVERGENT -Neil Burger-
In un futuro distopico, una ragazza coraggiosa e “diversa” lotta per
la sopravvivenza e per mantenere salda la propria identità contro le
regole di un sistema opprimente, giustificato dalle distruzioni
apocalittiche provocate da una guerra ormai remota: non è la trama,
seppur semplificata, della serie “The Hunger Games”, ma di
“Divergent”, film dalle tematiche non troppo dissimili, tratto da un
romanzo fantascientifico per giovani adulti. La protagonista, la brava
Shailene Woodley / Beatrice, dovrà superare una serie di severe prove
iniziatiche, prima di trovare l’amore dell’affascinante Theo James /
Quattro, affrontando al contempo colpi di stato e tragedie famigliari.
Trash e buon cinema d’azione si fondono in un film che alterna momenti
riusciti (la prima parte dedicata all’addestramento, il tramutarsi
della simulazione in violenza reale) ad altri fastidiosi (il tema
della diversità è talmente insistito nel secondo tempo da diventare
didascalico) o di involontaria comicità (le reiterate corse sfiancanti
degli intrepidi per prendere il treno). Neil Burger ha comunque il
merito di donare umanità e spessore ai suoi protagonisti, cogliendo
efficacemente nello svolgersi delle loro vicissitudini certe
fragilità, trepidazioni ed incertezze della prima gioventù. Film
imperfetto ma abbastanza godibile, con un cast giovane e promettente.
Stefania De Zorzi
THE GRANDMASTER -Wong Kar-wai-
Wong Kar-wai realizza con”The Grandmaster” un film complesso, in cui
passato e modernità si fondono sul piano storico, individuale e
amoroso.
Il protagonista, Tony Leung/Yip Man, attraversa con carisma e dolente
saggezza i grandi mutamenti della Cina dagli anni Trenta ai Cinquanta
(la grandiosa ricchezza del passato, le tragedie del conflitto
cino-giapponese, la forzata migrazione nella squallida Hong Kong del
dopoguerra), mantenendo tuttavia integra in ricchezza e in povertà la
sua identità di maestro di Kung Fu ed erede dell’unificazione degli
stili voluta dal gran maestro del nord, Gong Yutian/Qingxiang Wang.
Sua vera rivale nelle arti marziali è solo la bella e intrepida Gong
Er/Zhang Ziyi, figlia del maestro del nord: Yip Man e Gong Er si
innamorano perdutamente, e la loro storia è tanto più romantica e
struggente in quanto mai consumata.
Oltre a questa materia già di per sé ricca e densa, assistiamo a
splendidi duelli di Kung Fu, ed è difficile dare una preferenza di
stile, se ai 64 palmi felini di Gong Er o al Kung Fu equilibrato e
virile di Yip Man. Il film alterna rallentamenti ipnotici ad
accelerazioni improvvise: fra le molte scene da ricordare si
annoverano la sfida fra Yip Man e Gong Er, il duello spietato fra Gong
Er e Ma San, o ancora Gong Er che bambina spia il padre mentre si
esercita nella neve, cercando di emularne i movimenti. Uno degli
esempi migliori dello stile elegante di Wong Kar-wai, intriso di
riferimenti pittorici, raffinatezze linguistiche (l’uso del tempo
passato della voce narrante che sottolinea un passato che non ritorna)
e narrative (l’ellissi sulle tragedie familiari del protagonista). Da
vedere, sorseggiando idealmente una tazza di tè al gelsomino e
sognando epici duelli.
Stefania De Zorzi
I DISCHI PIU’ VENDUTI AD ALPHAVILLE NEL MESE DI MARZO
BECK Morning Phase
WILD BEASTS Present Tense
AFTERHOURS Hai paura del buio
ELBOW Take Off and Landing of Everything
MICAH P. HINSON Micah P. Hinson and the Nothing
aprile 14, 2014 at 12:37 PM alphavillepc2 Lascia un commento
I FILM PIU’ VENDUTI AD ALPHAVILLE NEL MESE DI MARZO
1 LA VITA DI ADELE –Abdellatif Kechiche-
2 UNA FRAGILE ARMONIA –Yaron Zilberman
3 PRISONERS –Denis Villeneuve-
4 RUSH –Ron Howard-
5 BLUE JASMINE –Woody Allen-
CAPTAIN AMERICA -the Winter Soldier- di Anthony e Joe Russo
Rendere moderna e appassionante la figura di Capitan America,
integerrimo eroe dei fumetti Marvel nato negli anni ’40, in piena
propaganda anti-nazista, non era un’impresa facile. Tuttavia i registi
Anthony e Joe Russo vi riescono con successo: “Captain America: The
Winter Soldier” gioca proprio sull’anacronismo del personaggio, sul
suo vivere letteralmente fuori dal suo tempo, per umanizzarlo e
renderlo credibile agli occhi dello spettatore. Steve Rogers/Cap,
interpretato da un Chris Evans ben calato nel ruolo, attraversa con un
fondo di malinconia le spericolate peripezie della trama, costretto a
constatare i segni devastanti del tempo sulla mente e sul corpo
dell’ex-fidanzata, o rivedendo se stesso in modo un po’ surreale nei
filmati di oltre sessant’anni prima, nel museo a lui dedicato. Così la
sua ricerca di una distinzione netta tra bene e male e l’assenza di
scetticismo incarnano un ritorno confortante, ma non necessariamente
ingenuo, al concetto dell’eroe senza macchia e senza paura d’altri
tempi. Il film presenta alcune delle migliori scene d’azione degli
ultimi anni, adrenaliniche e creative, senza mai perdere il ritmo
trascinante che lo caratterizza fin dalle prime sequenze. Robert
Redford è un malvagio interessante, così come il selvaggio ed immemore
Soldato d’Inverno del titolo, di cui è meglio non svelare l’identità,
ma anche Scarlett Johansson/Vedova Nera e Samuel L. Jackson/Nick Fury
conferiscono un discreto spessore ai rispettivi personaggi. Si esce
con il desiderio di lanciare lo scudo del Cap con il suo elegante
movimento circolare, così come si usciva dal primo Spider Man di Sam
Raimi mimando con le dita della mano il lancio delle ragnatele. Da
vedere, compresi gli eleganti titoli di coda in bianco e nero.
Stefania De Zorzi.
IDA di -Pawel Pawlikowski-
Premio Fipresci a Toronto e vincitore del festival di Londra, è arrivato anche in Italia, distribuito dalla Lucky Red, Ida di Pawel Pawlikowski, regista polacco già autore di film ambientati in Inghilterra (My Summer of Love, 2004) e Francia (La femme du cinquième, 2011).
Il regista torna nella sua terra natale per raccontare una storia ambientata negli anni ’60. Anna è una ragazza orfana in procinto di prendere i voti. La Madre superiore la convince a passare un po’ di tempo con la zia, sua unica parente in vita. Il rapporto tra le due donne è complicato, complice il fatto che la zia non si era voluta prendere cura della bambina alla morte dei genitori. Intraprendono un viaggio che farà scoprire alla ragazza molte cose e costringerà entrambe a ripensare le proprie scelte.
Il film è una sorta di road movie dal ritmo lento, girato in un bianco e nero luminoso e con il formato tipico dell’epoca, il 4/3. E’ un film denso, che intreccia una storia personale a quella di un popolo, ma allo stesso tempo semplice ed essenziale.
La costruzione dei quadri scenici è curata in ogni dettaglio: molti fotogrammi potrebbero essere dipinti o fotografie. Spesso i personaggi non stanno al centro della scena ma occupano una parte più marginale dello schermo.
Il film sembra omaggiare i grandi registi polacchi dell’epoca: le atmosfere dei primi film di Skolimowski, i silenzi di Knife in the Water (1962) di Polanski. Mentre i momenti jazz ricordano un film di poco successivo, ancora di Skolimowski, Le départ (1967), girato in Belgio con un magnifico Jean-Pierre Léaud.
Non c’è nulla di superfluo: tutto è dosato nella giusta misura. Non una parola di troppo, un’inquadratura di troppo, un indugiare di troppo della camera. La recitazione delle due attrici è perfettamente minimale: 99 attori italiani su 100 avrebbero tanto da imparare.
Per i piacentini: il film è in programmazione da venerdì 3 aprile al cinema Jolly.
Non esitate ad andare a vederlo!
ALESSANDRO ZUCCONI
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