Archive for Maggio, 2018

L’isola dei cani di Wes Anderson recensione di Stefania De Zorzi.

Isle-of-Dogs-New-Poster
Dopo qualche anno di assenza dal grande schermo ritorna Wes Anderson, regista e sceneggiatore di “L’isola dei cani” (da notare che in originale “Isle of Dogs” è omofono di “I love dogs”), film di animazione girato in stop motion .
Nel Giappone del 2037 l’ambiguo Kobayashi, sindaco di Megasaki, bandisce tutti i cani con la scusa di una forma aggressiva e contagiosa di influenza che gli animali hanno misteriosamente contratto, e li confina su un’isola-discarica, completamente ricoperta di spazzatura. Atari, pupillo dodicenne del sindaco, ruba un piccolo areoplano e si reca sull’isola con l’intento di ritrovare l’amato segugio Spots; una banda di cani coraggiosi sopravvissuti agli stenti, capeggiata dal ribelle Chief, lo coadiuva nell’ardua impresa.
Il film omaggia affettuosamente oltre che l’animale ritenuto il migliore amico dell’uomo, anche il cinema di Akira Kurosawa, di cui Anderson dichiara di essere un ammiratore.
Il regista crea una distanza rispetto allo spettatore, sia geografica (l’ambientazione giapponese, per il pubblico occidentale), sia temporale (un futuro non troppo lontano), che permette riflessioni più libere in quanto svincolate da riferimenti politici o razziali immediati, su temi quali la manipolazione dell’informazione in democrazia, e la segregazione di innocenti nel nome della protezione della comunità locale. Il futuro rappresentato ha caratteristiche estetiche e tecnologiche retrò, con televisori, aerei, robot che sembrano provenire direttamente dall’immaginario futuribile degli anni Cinquanta/Sessanta.
L’effetto straniante è amplificato dall’uso del linguaggio, in quanto i cani parlano in un idioma comprensibile (in inglese in originale, doppiati da attori di gran fama fra cui Bryan Cranston, Edward Norton, Liev Schreiber e Scarlett Johansson), mentre gli umani si esprimono quasi esclusivamente in giapponese, non sempre tradotto, così che la prospettiva canina è preponderante nella storia. Anderson regala di rinforzo ai suoi protagonisti canini una gamma di espressioni molto più ampia rispetto ai personaggi umani, grazie a grandi e bellissimi occhi un po’ vetrosi, mentre gli sfondi rimangono volutamente piatti e bidimensionali.
Il risultato è uno dei suoi film migliori, una fiaba feroce destinata più agli adulti che ai bambini, in cui la trama, i dialoghi, la tecnica di realizzazione hanno una qualità raffinata e ipnotica: assolutamente da vedere, sprofondando nei molteplici livelli di lettura o godendosi semplicemente l’avventura di animali lontani dalle stucchevolezze disneyane, e di un ragazzino disposto a tutto per amore del suo cane.

Maggio 25, 2018 at 12:09 PM Lascia un commento

AVENGERS (INFINITY WAR) di Anthony e Joe Russo – recensione di Stefania de Zorzi –

avengers

In “Avengers: Infinity War”, i fratelli Anthony e Joe Russo, coadiuvati dagli sceneggiatori Christopher Marcus e Stephen McFeely, portano alle estreme conseguenze il concetto della squadra di super-eroi in lotta per il bene dell’umanità: sia per la formazione alquanto allargata di beniamini del mondo Marvel, sia per i confini entro cui la squadra opera, o meglio per l’assenza degli stessi, visto che il teatro dell’azione ha come limite il cosmo.
Thanos/Josh Brolin, titano crudele dotato di poteri semi-divini, intende impossessarsi di tutte le gemme dell’infinito, grazie alle quali potrà diventare il dominatore dell’Universo e realizzare le proprie apocalittiche ambizioni. Sul suo cammino trova come ostacolo irriducibile gli Avengers e i Guardiani della Galassia, che devono vedersela anche con gli spietati emissari dell’Ordine Nero, inviati da Thanos in avanscoperta a recuperare le gemme.
Sulla carta e per tutto il primo tempo sembrerebbe la realizzazione del classico cross-over Marvel, anche se più espanso e articolato del solito, nel quale l’interesse principale è per i duelli fra gli eroi di turno e i cattivi, allo scopo di salvare il mondo da qualche folle e sovrumana minaccia. Tuttavia nella seconda parte il film si incupisce ed evolve in una direzione quasi religiosa, perché Thanos, come suggerisce il nome, aspira a diventare un dio della morte ed opera con una logica che ricorda in modo inquietante il tema contemporaneo dello sfruttamento delle risorse da un lato, e concetti e citazioni dell’AnticoTestamento e del Taoismo dall’altro.
E’ Thanos il vero grande protagonista del film: molto più dei vari Thor/Chris Hemsworth, Spider-Man/Tom Holland, Star-Lord/Chris Pratt, Capitan America/Chris Evans, fascinosi e simpatici, ma un po’ persi in una frantumazione di personaggi che faticano a superare la bidimensionalità. Gli tengono testa, almeno in parte, Iron-Man/Robert Downey Jr e il Dottor Strange/Benedict Cumberbatch, dotati di un carisma attoriale che supera le battutine auto-referenziali; poco più che decorativa invece la presenza di Vedova Nera/Scarlett Johansson.
E’ un Marvel forte, che lascia scosso lo spettatore, quasi come il “Logan” dell’anno scorso: non privo di difetti (qualche ridondanza nei duelli prolungati, i dialoghi spesso parodistici, la moltiplicazione esponenziale di personaggi e luoghi), capace però di far presa su un livello profondo, quello dello scandalo e del terrore per il Grande Mietitore umanizzato da una lacrima, così come di momenti divertenti (sopra a tutti, il duetto fra Thor e Star-Lord). Le scenografie, molto belle, hanno una qualità che supera il fumettistico e raggiunge il pittorico: malgrado gli eccessi di coralità e l’incongruenza a tratti di toni allegri e drammatici, “Infinity War” è un film da vedere, armati di pazienza nell’attesa del sequel fra un anno esatto.

Maggio 5, 2018 at 10:30 am Lascia un commento


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