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Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese – recensione di Stefania De Zorzi

Da sempre siamo abituati a vedere nei film western i nativi americani che attraversano a cavallo montagne e praterie, coi volti e i corpi dipinti coi colori di guerra, organizzati in villaggi di tende.“Killers of the Flower Moon”, l’ultimo film diretto e co-sceneggiato da Martin Scorsese, ribalta le convenzioni, mostrandoci agli inizi del Novecento il popolo Osage vivere fra gli agi in case lussuosamente arredate e viaggiare a bordo di comode automobili, servito da autisti e camerieri di pelle bianca, grazie alla ricchezza inaspettata garantita dai giacimenti petroliferi della riserva in cui è stato relegato.

Questo scenario di sereno imborghesimento viene funestato dalle azioni criminali di William Hale/Robert De Niro e del nipote Ernest Burkhart/Leonardo DiCaprio, che, a capo di una fitta rete di malviventi e di autorità conniventi, perpetrano numerosi omicidi fra gli Osage, allo scopo di impadronirsi di terreni e ricchezze. A dispetto di ciò, Ernest si innamora e sposa ricambiato Mollie/Lily Gladstone, benestante Osage purosangue, intraprendendo così una relazione che mette a dura prova i vincoli familiari da entrambe le parti. Dopo un lungo periodo di malefatte impunite interviene la neo-costituita FBI nei panni di Tom White/Jesse Plemons, circondato da un manipolo di agenti tutto d’un pezzo, con l’arduo compito di catturare sia tagliagole che filistei dall’aria per bene.

Il film vanta momenti belli e intensi: le sequenze iniziali, che in una mirabile sintesi di pochi minuti mostrano gli Osage trasformati da malinconici reietti in sorridenti proprietari terrieri e imprenditori abbigliati con i raffinati costumi tradizionali in un mondo alla rovescia di breve durata; la chiacchierata irriverente sul prato di Mollie con le sorelle, durante una festa; il matrimonio indiano dei due protagonisti, o ancora il colloquio rivelatore fra Ernest e Mollie. E infine la scena in cui, anziché deputare le didascalie di coda alla narrazione delle vicende dei personaggi dopo gli eventi del film, è uno speaker di radio-drammi che porge il microfono a Martin Scorsese in una breve apparizione cameo, a raccontare l’epilogo delle vite rappresentate nel corso del film.

Scorsese racconta i crimini efferati compiuti ai danni degli Osage con lo sguardo apparentemente distaccato di “Quei bravi ragazzi”, in cui il giudizio morale è lasciato allo spettatore, e l’empatia è riservata allo sguardo enigmatico e velato di malinconia di Mollie. A tratti l’elenco interminabile di omicidi, il genocidio frammentato di una guerra subdola condotta in modo lento e inesorabile, così come l’agonia dilatata nel tempo della protagonista durante la malattia, rasentano i limiti del tollerabile. C’è da pensare che questo tempo lungo del male e della sofferenza sia voluto: così che il riscatto della seconda parte, l’intervento salvifico degli agenti dell’FBI e la presa di coscienza di Ernest sfociano in un effetto catartico, in cui finalmente i malvagi vengono messi alle strette, e la strage degli innocenti si interrompe.

Gli attori, tutti magnifici, aiutano non poco a sopportare la durata imponente di quasi tre ore e mezza: primo fra tutti Robert De Niro, che proietta attorno a sé un’ombra diabolica e untuosa, in una delle migliori interpretazioni da “villain” viste sul grande schermo. Non gli sono da meno l’intensa Lily Gladstone, bellezza carismatica estranea ai canoni classici e alle convenzioni, e naturalmente il poliedrico Leonardo DiCaprio, imbruttito per gran parte del film da una smorfia stolida, che si ammorbidisce alla fine nell’espressione di una parziale redenzione.

E’ un film impegnativo, con qualche ridondanza e momenti esasperanti: comunque da vedere, oltre che per il ritratto di una sconvolgente storia vera, anche per lo stile talentuoso ed elegante di Scorsese, che alterna senza soluzione di continuità il variopinto mondo dei nativi al bianco e nero delle foto d’epoca, i campi lunghi della prateria fiorita (da cui il titolo del libro omonimo di David Grann a cui è ispirato il soggetto) e delle fattorie isolate in mezzo al nulla, ai primi piani sui volti immensi degli Osage, passando anche per la strage di Tulsa. 

Un antidoto potente ai meccanismi ripetitivi dell’A.I.

ottobre 23, 2023 at 9:54 am 1 commento


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