Black Panther: Wakanda Forever diretto da Ryan CooglerBlack – recensione di Stefania De Zorzi
novembre 19, 2022 at 11:08 am alphavillepc2 Lascia un commento

Se “Black Panther” aveva messo al centro della narrazione il nero al
posto del bianco, la cultura e le tradizioni africane anziché quelle
anglo-americane, il seguito “Black Panther: Wakanda Forever” compie un
ulteriore passo in avanti nel dar voce a categorie altrimenti messe in
minoranza sia al cinema che nella vita reale, rendendo protagoniste
donne dotate di genio, nonché di straordinaria forza psicologica e
fisica.
T’Challa/Chadwick Boseman è morto di un male misterioso, lasciando una
difficile eredità alla regina Ramonda/Angela Bassett che un anno dopo
deve vedersela con le pretese delle altre nazioni, avide di vibranio,
di cui Wakanda è apparentemente l’unico Stato detentore. Un rilevatore
di vibranio, inventato da una giovane scienziata, Riri
Williams/Dominique Thorne, permette alla C.I.A. di trovare un nuovo
giacimento sommerso nel mezzo dell’Oceano Atlantico. Gli scopritori
vengono però massacrati da un misterioso popolo subacqueo dalla pelle
blu, comandato dallo spietato Namor/Tenoch Huerta, intenzionato ad
allearsi con Wakanda contro il resto del mondo o a combatterla, a
costo di mettere a repentaglio la vita di Riri e della principessa
Shuri/Letitia Wright.
E’ un Marvel diverso da molti suoi roboanti predecessori, e lo si nota
subito dall’intro, virata su un luttuoso colore viola e priva
dell’abituale e rassicurante musica eroica, sostituita dal soffio del
vento, evocatore di ricordi , solitudine, deserto.
Ryan Coogler non rinuncia a vivaci scene d’azione, né al senso di
meraviglia indotto da scenografie spettacolari (il regno sottomarino
di Talokan, la nave futuristica di Wakanda), cari ai fan dei
cine-comics; introduce però anche una spiazzante dimensione intimista,
che prende spunto proprio dalla morte dell’eroe T’Challa, a imitazione
della prematura scomparsa nella vita reale dell’attore Chadwick
Boseman. La presa sul pubblico è fortissima nell’intreccio fra reale e
immaginario, ed è inevitabile immedesimarsi nei dolorosi ricordi e
nella difficoltà di elaborare il lutto sia di Ramonda che di Shuri: il
mondo al femminile significa introspezione, lacrime, sentimenti
espressi nei primi piani sui bei volti intensi delle protagoniste
(meritano menzione anche il generale Okoye/Danai Gurira e l’ex
fidanzata di T’Challa, Nakia/Lupita Nyong’o), e va fortunatamente ben
al di là delle sfide muscolari.
Non c’è solo l’esplorazione del lato emozionale di eroine potenti e
sensibili ad arricchire il film rispetto ad altri cine-comic, ma anche
la presenza di un ottimo antagonista: Coogler ne rilegge le origini,
non più atlantidee ma Maya, e il nome, Kukulkan, il cui alias è Namor
per un’ingegnosa trovata, che diventa anche chiave di lettura del
personaggio. Come tutti i cattivi che si rispettino Namor ha un lato
affascinante seppure oscuro, e la sua storia personale ci fa, almeno
in parte, comprendere le motivazioni dei crimini commessi. L’attore
messicano che gli dà corpo, Tenoch Huerta, ha una forte presenza
scenica, che non si vedeva dai tempi del Magneto di Michael
Fassbender.
Gli splendidi costumi di Ruth Carter restituiscono sia il
coloratissimo mondo africano che quello fantasmagorico dei
discendenti subacquei dei Maya, integrato con gioielli sofisticati e
dettagli hi-tech in combinazioni insolite quanto eleganti. Wakanda è
un altro pianeta, evoluto seppure fortemente ancorato a tradizioni
ancestrali, così come la Talokan degli abissi da cui emergono
sirene-Maya e il mezzo di trasporto più usato è la balena: a confronto
l’uomo bianco nei suoi tristi completi scuri ne esce sbiadito, in
tutti i sensi.
Unica pecca del film è la lunghezza: 2 ore e 40 minuti con alcune
ridondanze e dilatazioni, che non disturbano comunque più di tanto la
visione.
Senz’altro da vedere, non solo per gli appassionati del genere, con la
speranza di un seguito in cui ritrovare la squadra fiera e simpatica
di eroine a confronto con l’infido Namor.
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