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Tre Manifesti a Ebbing-Missouri di Martin McDonagh recensione di Stefania De Zorzi.
“Tre Manifesti a Ebbing, Missouri” è un film forte, spiazzante fin dal titolo: Martin Mc Donagh, nella duplice veste di regista e sceneggiatore, porta a compimento il percorso talentuoso, seppure poco prolifico, iniziato con “In Bruges”.
Mildred Hayes/Frances McDormand, infuriata e amareggiata per la mancanza di risultati nelle indagini della polizia locale sull’orribile morte della figlia, stuprata e uccisa mesi prima, investe il poco denaro a sua disposizione in tre cartelloni pubblicitari, situati all’ingresso del paese, che pongono domande provocatorie a caratteri cubitali allo sceriffo Bill Willoughby/Woody Harrelson. L’atto scatena reazioni imprevedibili ed estreme da parte di molti abitanti, fra cui lo sceriffo stesso, malato di un cancro incurabile, e l’agente Jason Dixon/Sam Rockwell, accusato in passato di torture sui neri.
McDonagh firma un noir dalle venature umoristiche che, complice la presenza della McDormand, ricorda nei toni e nelle ambientazioni il cinema dei fratelli Coen: protagonista è una provincia americana popolata di poliziotti ottusi e razzisti, preti dalla morale ipocrita, ex-mariti maneschi con amanti giovani e ingenue, soldati psicopatici e nani innamorati. Visto così potrebbe ridursi a un circo grottesco di freaks tagliati con l’accetta, alla maniera di tanti film ispirati a fumetti iper-violenti: tuttavia McDonagh mantiene miracolosamente l’equilibrio sul filo sottile che interseca il dramma, la commedia e la crime-story, delineando l’umanità a tratti buffa, a tratti dolente, di personaggi capaci di evolvere verso direzioni psicologiche e narrative impreviste. L’esito è un giallo che travalica i generi, in cui la casualità e l’incompiutezza hanno la meglio sulle tecnologie sofisticate e sul presunto acume o sulla dichiarata cialtroneria dei tutori dell’ordine. Già altre volte l’America rurale era stata ritratta nel suo volto ignorante e primitivo; Mc Donagh, grazie ad un cast di eccellenza (McDormand e Rockwell sopra agli altri) e ad una sceneggiatura brillante, introduce sfumature di simpatia e di redenzione morale in creature che invece per buona parte del film sembrano deputate al disprezzo dello spettatore. E’ degna di nota la fotografia, in un profondo sud che alterna ampi spazi di natura lussureggiante ad ambientazioni cittadine simil-western, la calda luce diurna a notturni infuocati dalla violenza dell’uomo. Film da vedere, resistendo alla frustrazione di chi non riceve tutte le risposte normalmente attese in una storia con un mistero da risolvere.
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